domenica 3 aprile 2011

Noi nordici, voi sudici





Torno con un intervento (a freddo) sull'unità d'Italia, prendendo spunto direttamente da una relazione che ho fatto circa dieci giorni fa per il corso di Comunicazione Pubblica della mia facoltà.
E' strano parlare di unità d'Italia, adesso. E' strano perché c'è qualcuno che l'Italia invece la vorrebbe divisa. Anzi, è più di “qualcuno” e ci governa pure. A pensarci poi fa quasi ridere: questi signori vogliono liberarsi dalla palla al piede che è il meridione, sfuggire alla lunga
mano di “Roma ladrona” ma poi hanno giurato sulla costituzione per adempiere ai loro incarichi e mangiano con le tasse di tutti i cittadini (anche quelli “africani”, ovvero abitanti dal Po in giù). Ma la situazione particolare che si è creata adesso non è frutto del caso, bensì di una serie di ingiustizie e “forzature” storiche avvenute dal quel fatidico 1861 ad oggi. Prima che iniziasse la campagna di “liberazione” di Garibaldi e i suoi, l'Italia era divisa in tanti stati: il regno dei Savoia, lo Stato Pontificio, il Regno delle Due Sicilie e l'area Lombardo-Veneta annessa all'impero Asburgico (oltre ai ducati minori), ognuno con storia e cultura profondamente differenziate. E proprio questo fattore di differenziazione è rimasto immutato nel corso di questi 150 anni; genti con differenti abitudini e tradizioni si sono trovate da un giorno all'altro a coabitare su un suolo ormai comune. Un parallelismo può sorgere spontaneo per rendere meglio il concetto: quello tra la repubblica federale degli Stati Uniti e l'Unione Europea. Gli Stati Uniti sono nati assieme da una guerra d'indipendenza e hanno condiviso quelle poche tradizioni ed esperienze che un continente vecchio di appena 500 anni può sperimentare, mentre l'Unione Europea è formata da stati che si sono fatti la guerra durante tutta la storia antica e moderna e, sebbene non sia da escludere nel futuro, queste nazioni sono poco propense ad unirsi in un sistema federale sotto la guida di un unico presidente. L'Italia in fin dei conti è questo: un calderone di culture e popoli che si sentono diversi tra loro, difficili da tenere buoni e facili da dividere ancor di più. Se ci pensiamo, ciò è dettato anche dalla morfologia del nostro territorio. Abbiamo le Alpi e le verdi vallate al nord e il mar Mediterraneo al sud, gente di montagna e gente di mare, modi di pensare diametralmente opposti.
Questione culturale a parte, c'è stata una serie di eventi che ha determinato l'odierno profondo distacco tra il settentrione e il meridione. E tali eventi sono stati scatenati dalla politica di sfruttamento perpetrata dagli unificatori d'Italia verso il sud. Dopo il 1861 infatti, le casse reali borboniche vennero svuotate, le materie prime trasferite in un nord che si avviava allo sviluppo industriale e i cosiddetti briganti (che non erano altro che i fedeli al regno delle Due Sicilie) sterminati senza pietà. I poteri governativi si spostarono in alto quindi, e lo stato divenne sempre meno presente nelle regioni meridionali. Ciò ha portato alla nascita di organizzazioni criminali (che avrebbero a loro volta dato vita alla mafia come la conosciamo oggi) alle quali la gente si affidava non vedendo più un sostegno tangibile del governo. Una catena di eventi del genere non può essere considerata anacronistica se riferita a oggi, dato che le conseguenze sono purtroppo note a tutti. Il presente è dunque figlio del passato, ma come dobbiamo vivere questa unità? Evidentemente la provenienza geografica e il credo politico di ogni singolo cittadino sono determinanti in questa scelta. Un meridionale poco informato (e molto probabilmente filogovernativo) vivrà l'unità come un qualcosa di positivo senza conoscerne i motivi o gli avvenimenti storici ad esso legati, un meridionale “che ha studiato” magari rimpiangerà i Borbone e inveirà contro i piemontesi, un leghista la riterrà una perdita di tempo e, indecisi a parte, tutto il resto andrà in piazza a celebrare il tricolore.
Personalmente sono convinto che sia giusto conoscere la nostra storia, sia nel suo lato glorioso che in quello oscuro e infangato, ma non fare delle ingiustizie passate un motivo di rancore o risentimento. L'Italia è unita adesso, tocca a noi renderne unito il popolo. E ciò va fatto debellando la disinformazione e dialogando soprattutto con chi non la pensa come noi. La festa dell'unità d'Italia è fondamentale se si vuole davvero iniziare questo processo, e non a caso l'ala secessionista del governo si è opposta aspramente. Non a caso essa ha paura della cultura, perché la cultura uccide l'ignoranza. E loro sull'ignoranza ci marciano e ci guadagnano. 

giovedì 3 marzo 2011

Un cigolio sinistro



Credo che già dai due interventi precedenti sia stato possibile delineare il mio “stile”, ovvero quell'abitudine che ho di porre domande al lettore. Non so se funziona o meno, ma proprio per essere recidivo inizio con una domanda: la sinistra (politicamente parlando) esiste davvero? Sulla destra non ho il benché minimo dubbio: tra imprenditori, nazionalisti e -purtroppo- partiti neo-fascisti c'è addirittura l'imbarazzo della scelta. La sinistra invece rimane così, astratta, non ben delineata, utopica. E non uso quell'ultimo aggettivo a caso, dato che secondo me l'ideologia di sinistra di fonda su un'utopia bella e buona. Basta semplicemente ricalcare la filosofia di Marx, secondo la quale il proletariato deve ribellarsi alla borghesia e poi, dopo una “presa di coscienza” da parte di tutti che il comunismo è la via migliore, fondare una società proletaria. Io non metto in dubbio che gli ideali comunisti siano validissimi e vantaggiosi (anche se questo si potrebbe discutere, ma assumiamo che lo siano, al momento), ma sono realizzabili? Secondo me no, specie in questo periodo. E ciò fa dell'uomo di sinistra un sognatore. Ma il fatto è che in un tempo di crisi sia dell'economia che delle istituzioni per i sogni c'è poco spazio, dato che non sono funzionali alla risoluzione dei problemi, dato che non si può fare affidamento su una presa di coscienza collettiva quando siamo circondati da sciacalli che darebbero i propri figli in pasto ai leoni se ciò fosse redditizio. In una società in cui vogliamo (o vogliono, per meglio dire) soffocarci l'un l'altro, non si può essere di sinistra. E' anche vero che se non si prova a cambiare qualcosa nulla cambierà mai veramente e questo rende la sinistra indispensabile ma non funzionale. Probabilmente sono troppo ancorato alla realtà per comprenderne appieno il pensiero, ma proprio non riesco a riconoscermi in questo vortice di buonismo che è il biglietto da visita di questa sinistra che in Italia sta cigolando ormai da un po'. Dico che cigola perché secondo me un partito che si preoccupa di vendersi ad un'ideologia diametralmente opposta ha problemi alle fondamenta, non è credibile ed è un insulto alla gente che crede nei valori proposti dai suoi leader (qualunque riferimento al PD e alla Lega è puramente voluto). Il risultato di tutto ciò è che adesso, che ci vorrebbe un colpo di mano da parte di un'opposizione forte e organizzata, la maggioranza spadroneggia in modo dittatoriale sulle nostre vite e sui nostri diritti.
Sia chiaro comunque che io non sto denigrando né la sinistra né tantomeno chi è di sinistra, dico solo che a mio avviso è un'ideologia poco aderente alla realtà e in particolare nel nostro paese troppo effimera e poco efficace. 

domenica 27 febbraio 2011

Fear and Loathing


Dopo un lasso di tempo più o meno consistente dall'ultimo intervento, torno con un'altra riflessione maturata dopo aver visto "Paura e Delirio a Las Vegas". Evito di recensirlo o raccontarlo per filo e per segno, sia perché non è quello che voglio fare, sia perché magari qualcuno che legge non l'ha ancora visto. Ragioni per cui mi limito a dire che si tratta di una pellicola grottesca incentrata sull'uso di droghe (quasi solamente alluginogene) e sulla distorsione della realtà. Il tema della droga non viene però trattato in modo pesante come in Trainspotting o Requiem for a Dream, bensì in modo quasi divertente, da commedia, a tratti. I due protagonisti ingurgitano, sniffano e si iniettano qualunque cosa sia classificata come stupefacente quasi come se fosse una cosa normale e assolutamente non dannosa. Ma il punto è un altro: i due fanno di tutto per estraniarsi dalla realtà, e quando quest'ultima di avvicina, sfuggirle senza voltarsi un attimo. "Banale", si può pensare, essendo un film sulla droga. E invece non è così scontato, secondo me. Loro sono sempre strafatti, vittime di allucinazioni e profonde alterazioni della realtà; quando sono lucidi (e notare che praticamente mai sono contemporaneamente lucidi) tentano sempre di fuggire dai disastri che vanno seminando in giro. Cambiano albergo, guidano per il deserto e tentano di evitare quanto più possibile contatti con gente "sana". Alla luce di ciò mi viene da pensare: fanno bene a scappare dalla realtà? Mi spiego meglio, onde evitare che questo dubbio venga frainteso. La vita ci offre quotidianamente grattacapi, delusioni e problemi, grandi o piccoli che siano (mi piace pensare che questa sia una questione geografica). Perché affrontarli? Perché essere dei "bravi cittadini"? E' forse un'etica comune che ci mantiene sui binari? Eppure c'è chi deraglia, e quello che mi chiedo è se sia giusto biasimarlo o meno. Sia chiaro, non voglio dire che gli eroinomani fanno bene a drogarsi, è un discorso metaforico, ovviamente. Noi tutti, molto probabilmente, righeremo dritti fino alla fine, agendo quanto più possibile nel rispetto di regole, norme e buona educazione. Ma è davvero giusto, ne vale davvero la pena? Certo è che se tutti iniziassero ad infischiarsene delle regole il mondo piomberebbe nel caos più totale, e ciò non sarebbe assolutamente un vantaggio per la razza umana. In parole povere, quello che voglio dire è che forse è meglio vivere un piccolo pezzo di paradiso artificiale in terra (non drogandosi, possibilmente, rimane sempre una metafora) che rimanere ligi e asserragliati dietro la speranza di un paradiso vero dopo la morte e senza mai assaporare qualche intermezzo di "paura e delirio".

domenica 30 gennaio 2011

"Eloi, Eloi, Lama Sabachthani"

ATTENZIONE: Il video seguente contiene immagini di violenza reale, se pensate che ciò possa turbarvi non apritelo.

Domani ho un esame e teoricamente dovrei ripassare/andare a letto, ma mi preme condividere con "voi" qualche riflessione circa il video soprastante.
Innanzitutto, per chi non l'avesse visto, il documento audiovisivo riprende una condanna a morte di due persone (prima una donna, poi un uomo) in Afghanistan, accusati di adulterio. La pena si svolge senza troppi preliminari, i due vengono legati e bendati, buttati in un fosso poco profondo in modo da non potersi divincolare in nessun caso e, dopo il segnale dato da qualche capo religioso, la folla inizia a lanciare grossi sassi, fin quando i condannati non si muovono più.

Dalla visione di ciò mi sorgono spontanee più riflessioni. La prima, molto pessimista, è di tipo morale. Ciò che mi chiedo è: ci stiamo davvero evolvendo? Non voglio banalizzare (per l'ennesima volta) la brutalità degli integralisti islamici, quello che intendo esprimere è una profonda preoccupazione, un immenso dubbio sul reale progresso umano. L'Europa e l'America vanno avanti, tra una crisi e un boom economico, si arrovellano, litigano, si accordano, trattano e ingannano. Abbiamo raggiunto un benessere tale che nessuno viene lasciato morire per strada. Penserete: ma è ovvio che nessuno muore per strada! Invece no, non è ovvio. In India (il secondo stato più popoloso del mondo con circa un miliardo e mezzo di abitanti) se appartieni ad una casta povera molto probabilmente morirai accanto ad un marciapiede, calpestato da uomini e mucche. Perché le mucche sono più importanti di te. Sono sacre, le mucche.
Abbiamo raggiunto un benessere così estremo che a fine anno non ci arriva neppure la bolletta da pagare con il prezzo del proiettile che ha ucciso un nostro familiare condannato a morte. Già, qua no, ma in Cina sì.
Stiamo così bene che non ci sogneremmo mai di mangiare un nostro conoscente perché abbiamo fame. Ma alcuni ragazzi di campagna in Russia la pensano diversamente.
In parole povere, mi rendo conto di come l'evoluzione culturale degli esseri umani sia quasi arrivata ad un punto d'arresto. Europa e America saranno anche i capi economici del mondo, ma costituiscono una piccola fetta di popolazione del globo. La maggioranza degli esseri umani muore avvelenata, di fame, giustiziata o peggio. 
Non voglio fare il buonista né condurre una campagna Unicef o cazziemazzi (né sensibilizzare, ovviamente), ritengo solo che non possiamo ritenerci evoluti fin quando non lo saremo in maggioranza.

La seconda riflessione è, se vogliamo, molto più perversa (oltre che essere un tema che ho scelto per un esame universitario). Mi  riferisco alla "catarsi da violenza", ovvero l'impossibilità di distogliere lo sguardo da un atto, appunto, di violenza, rimanendo praticamente "affascinati". Sia chiaro, non sto dicendo che la violenza sia giusta o che ne dovrebbero fare uno spettacolo, dico che secondo me, chi più chi meno, siamo tutti attratti dal sangue, dall'orrore o dalla morte. E' mai capitato a qualcuno di vedere un animale morto per strada? Magari in un primo momento si distoglie lo sguardo, ma prima che scompaia dal nostro campo visivo, anche con la coda dell'occhio, un fugace occhiata la diamo sempre. Ciò è anche il motivo per cui ci accalchiamo tutti per vedere una rissa o fissare qualcuno che si è fatto male, o sta male (sempre secondo me).

Se mai qualcuno leggerà ciò, sarei curioso di sapere cosa ne pensa in merito. Stay tuned




venerdì 28 gennaio 2011

Iniziazione.


Eh sì, sono approdato anch'io in questa virtuale terra pronta ad assorbire lagne che lasciano il tempo che trovano.
Non credo che qualcuno leggerà mai qualcosa, ma quantomeno ho un posto per scrivere quando ne avrò voglia senza dover lasciar tutto a rimescolarsi e perdersi nei meandri della mia confusa mente.
Alla prossima, utenza immaginaria.